La sofferenza: un mostro da sconfiggere!
È davvero utile continuare a fuggire dalla sofferenza?
Spesso attraverso i social, mi sono imbattuto in post e pubblicità di professionisti del benessere psichico ed emotivo che promettono, con vari sistemi, di eliminare la sofferenza come fosse una malattia e di combatterla come fosse un nemico da sconfiggere.
Si promettono percorsi e terapie dove la felicità insieme ad una vita più serena, sembra possano arrivare facendo di tutto per non provare disagi, malesseri ed emozioni ritenute negative come tristezza, rabbia, ecc.
Naturale tendenza
Questa è la normale propensione che hanno tutti gli esseri umani: scacciare ciò che ci crea disagio e voler solo ciò che ci fa stare bene.
Chi conosce a fondo le emozioni sa che sono in qualche modo tutte utili ed hanno tutte ragione di esistere.
Ci sono cascato
Anche per me era così, durante il mio percorso di crescita personale avevo il presuntuoso obiettivo di assimilare il più possibile tutte queste informazioni e metodi derivanti dalle materie olistiche, filosofiche e psicologiche (Counseling, Coaching, Mindfulness, Educazione Emotiva, funzionamento del pensiero, psicologia, filosofie orientali e filoni occidentali) per poter guadagnare un giorno talmente tanta conoscenza e competenza da stare al riparo dalla famigerata sofferenza.
Il nobile fine ultimo era tendere alla perfezione per non soffrire mai più o avere tutte le armi e gli strumenti a disposizione per farla durare meno possibile.
Addirittura mi sono spesso scoperto ad immaginare cosa avessi potuto fare se la vita mi avesse portato via ciò che più amo, immaginando e studiando un piano strategico di tutto quello che poteva prepararmi ad un evento così drammatico.
Ho esagerato, ora lo so, era veramente il mio massimo tentativo di tenere la Vita più sotto controllo possibile sposata all’intenzione di diventare invincibile con il lavoro che facevo su di me giornalmente e ossessivamente, una pretesa davvero irrealizzabile oltre che snervante. Certo non lo facevo consapevolmente era un meccanismo di difesa inconscio che agiva senza una mia presa di coscienza.
La mia esperienza professionale
Quando iniziai a lavorare con i clienti nel mio sportello di ascolto mi accorsi che anche loro avevano questo obiettivo e da lì che ho cominciato a vedere che c’era qualcosa che non mi tornava. Precisamente quando mi capitò una cliente che mi chiese aiuto elencandomi tutta una serie di cose che non andavano nella sua vita e che la facevano stare male. Alle mie varie proposte di percorsi o di sistemi per risolvere, lei mi disse candidamente che non aveva intenzione di fare niente perché credeva di non essere in grado di cambiare alcunché. La sua richiesta era invece quella di imparare a stare nella sofferenza più serenamente possibile.
Soffrire serenamente sembra una contraddizione in termini eppure da lì mi si schiusero le porte a ciò che io stesso non avevo ancora elaborato anche se magari a parole ero bravo a dire il contrario. Lo pensavo ma non lo avevo fatto mio, non lo sentivo…
Facendoci attenzione, giorno dopo giorno mi accorsi della mia fissazione su questo argomento e mollai piano piano la presa, dandomi il permesso di essere imperfetto e di cercare il coraggio di vivere serenamente i giorni in cui ci sono piccole incavolature o problemi da risolvere e non aver paura di poter passare un periodo triste della mia vita in cui vorrei solamente stare con quello che c’è senza dimenarmi per evitare di soffrire. Non voglio dire di lasciarsi andare al dolore in modo masochista e con un atteggiamento rinunciatario ma di cercare in questo tipo di percorsi quel coraggio che mi permetta di attraversare il mio malessere con consapevolezza e fiducia nelle mie risorse e poter tornare alla normalità con i miei tempi e con compassione per me stesso. Solo così posso poi dare il mio meglio nella professione che svolgo sostenendo e supportando i miei clienti nei loro momenti bui.
Sofferenza:
Questa maledetta, questo mostro da cui fuggire e da sconfiggere. Ma lei non si vince perché non è un avversario ma è un pezzo inevitabile della vita. Voglio imparare piano piano a portarla con me e in parte ci sono anche riuscito.
Prima se soffrivo mi dimenavo, facendo di tutto per ingannarla, respingerla e risolvere più in fretta possibile. Ora invece mi sdraio, mi accovaccio, sento lo stomaco che si contorce dal dolore, l’ascolto, è tremenda ma meno di prima e mentre penso che io sono responsabile di ciò che sta accadendo dentro di me, decido sereno se fare qualcosa oggi, oppure domani, o non fare niente e aspettare che passi.
Faccio quello che posso, con quello che ho, nel momento in cui sono.
Pace a me e pace a voi!
Marco
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